mercoledì 16 settembre 2009

L'eleganza "invisibile" di Vittorio De Sica

Se Vittorio De Sica, classe 1901, fosse ancora vivo, Scott Schuman ne farebbe certamente un soggetto ricorrente dei propri scatti. Schuman è l'autore del seguitissimo e assai riverito TheSartorialist.com, il blog che più di ogni altro ha riportato in auge nell'immaginario collettivo, per via di sincero e sentito apprezzamento, il lustro dell'eleganza classica all'italiana – quella atemporale, solida e consistente, da uomo vero, non da modaiolo sfegatato alle prese con la bufera cangiante dei trend (si veda per riscontro il poderoso tomo The Sartorialist, in uscita europea il 10 Settembre per i tipi di Penguin).
Tutto, in De Sica, parla infatti – il presente è d'obbligo, perché la lezione di quest'uomo, morto nel 1974, è valida ancora, oggi più che mai – di misura, eleganza e italianità: l'attenzione al taglio dell'abito come al dettaglio, la sprezzatura dei modi, la maniera mai pedissequa né pedante di seguir le regole del ben vestire e del ben comportarsi, pur ottemperando, da vero gentleman, a tutte. Il cappello sempre in testa, il fazzoletto nel taschino, le scarpe lucide e lustre, la cravatta mai garrula o sgargiula, l'equilibrio ricercato ma per nulla noioso dei non-colori sono tutte caratteristiche dell'inconfondibile stile De Sica, così come gli abiti morbidi, che accarezzano la figura, con quelle spalle svuotate che sono la vera firma della sartoria napoletana, leggera anche su un tema difficile come il doppiopetto, che De Sica amava e che Berlusconi, abbandonati gli scafandri suoi tipici, potrebbe, ci permettiamo di suggerire, imitare. Italiana, in De Sica, è soprattutto quella maniera unica di nascondere una certa esuberanza dei modi e della personalità – dopo tutto, era napoletano – dietro l'aplomb perfetto, inappuntabile ma mai inamidato, del vestimento.
Evitando affettazioni estenuate da dandy tardivo - nell'Italietta post-bellica, ahinoi, ancora riverberavano gli echi pomposi e le preziosità farlocche del vate D'Annunzio – De Sica del dandy all'inglese, alla Brummell, adotta la regola cardine, l'unica valida: l'invisibilità. Il suo è uno stile che non urla, e passa quasi inosservato: sommesso, ma non rinunciatario. Piccolo borghese d'origine, come il suo signor Max lo si sarebbe facilmente preso per un gran signore, tanto ci sapeva fare, a dimostrazione che lo stile vero è innato, e avulso dal censo. A guardare scatti privati e immagini di scena – la sovrapposizione tra persona e personaggio, in De Sica, è perfetta – viene un po' di nostalgia. Di uomini così naturalmente eleganti, capaci di farsi vessillo d'italianità senza apparire neanche un po' provinciali, oggi ce ne sono pochi. Le star che ci ammorbano attraverso il tubo catodico sono sempre troppo prese dalla furia dell'apparire ad ogni costo, e dalla smania di farsi notare, per capire che l'eleganza vera è un sussurro, non un urlo.
Di De Sica, il regista e l'attore, ci rimane un corpus di film tra cui spiccano Ladri di biciclette, Umberto D. e La ciociara; dell'uomo di stile, invece, ci rimane il suggerimento di una via italiana all'understatement – calorosa, non calvinista. Perché il garbo può essere assai più sedizioso di ogni falsa, inutile trasgressione. E il grigio avere più sfumature, e fascino, del technicolor della tv.

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